martedì 20 luglio 2010

«Il mare, la mia ossessione ma ora racconto i clandestini»

Crialese: film a Linosa, tra gli sbarchi dei profughi In quattro mesi ho visto l' arrivo di cinque imbarcazioni di disperati: noi della troupe abbiamo cucinato la pasta per loro

LINOSA - Emanuele Crialese piazza le sue macchina da presa tra le onde e la roccia nera. Ora gli abitanti li ha conquistati, ma c' è voluto tempo. E comunque non vogliono apparire nel suo nuovo film, Terraferma, il primo che si gira a Linosa dopo il documentario degli Anni 50 Un' isola ha sete, e almeno questo problema è stato superato. «Io sono qui da quattro mesi. È un' isola difficile, non ci sono strutture, non c' è una banca, un unico Bancomat e il tecnico venuto a ripararlo col traghetto traballa ancora per le onde, la frutta arriva una volta alla settimana. Linosa è un lapillo, è giurassica». E infatti a Lampedusa, più evoluta e attrezzata, meno sogno in mezzo al mare, li chiamano «i linosauri». Vengono gli stranieri?, chiediamo a uno dei 400 che l' abitano. «Sì, i milanesi soprattutto», risponde. Crialese, c' è l' acqua di Lampedusa in Respiro, che vinse a Cannes «La Settimana della critica»; c' è l' acqua in Nuovomondo, Leone d' Argento a Venezia nel 2006. Ora fa di questa piccola montagna di lava lo scenario universale di una storia di pescatori, e di clandestini e turisti. «È un tornare indietro nel tempo». Un romano che ama il mare più remoto e lontano della Sicilia, tanto da tornarvi; il mare come estremo rifugio contro l' «inquinamento» delle attività umane? «L' acqua per me è la mancanza di gravità, l' assenza di un peso preciso, ed è impossibile da definire; esistono i confini marini ma non si vedono, è uno spazio che quando lo guardi è così da chissà quanto tempo, appartiene al nostro pianeta ma non è un nostro elemento, non ci sono città sul mare, è una cosa delle origini, l' acqua è vita. Qui mi sento protetto, ed è devastante». Bisogna aspettare i giri del vento e gli umori delle correnti. E in questa natura leopardiana Crialese, 45 anni, colloca lo sguardo visionario e le immagini simmetriche, la sua folle geometria, le sue ossessioni (l' isola, i pescatori, un personaggio femminile forte, gli immigrati), una levigatezza metafisica che corrisponde al paesaggio lunare. «C' è la voglia del viaggio, dell' altra vita come dimensione di azzeramento, la mia idea che ognuno di noi sogna di rompere qualcosa del passato per cominciare il presente. La protagonista del film, Donatella Finocchiaro, sente l' esigenza di andare altrove». Ha perso il marito, è ancora piacente, che ci fa lì; ha un figlio, Filippo Pucillo, l' attore-mascotte che aveva 9 anni in Respiro e ora ne ha 20: «È selvaggio, anacronistico, puro». Il nonno è Mimmo Cuticchio, si rifugia nella grotta come gli isolani al tempo dei borboni, ha capito che si guadagna più a vendere la barca da pescatore che a pescare per 40 anni. Martina Codecasa è una turista. Poi c' è Beppe Fiorello, il cognato di Donatella, il primo a annusare l' aria buttandosi nella speculazione turistica. «Non racconto una cosa ma un contesto, dei temi affrontati attraverso la vita di alcuni personaggi, una metafora che porta a una domanda; è un film sulla solidarietà, su cosa vuol dire progresso e ciò che dà la possibilità di aiutare l' altro. Una famiglia di ignoranti vive contro il proprio paese che vuole denunciare i clandestini. Bianchi e neri sulla stessa spiaggia». Non le farà piacere, ma ricorda Verso l' Eden, il film di Costa Gavras con Riccardo Scamarcio. «Forse raccontiamo le stesse cose, ma in modo diverso». Linosa non è Lampedusa...«Potrebbe essere un' altra isola. E comunque da quando sono qui ho visto con i miei occhi cinque sbarchi, ogni volta 70 persone a bordo, gli abbiamo cucinato la pasta, non ci hanno voluto dire da dove vengono e i carabinieri ci hanno proibito di filmarli». Non erano finiti gli sbarchi? «Lo dicono, si fa finta che le cose non succedono. Non siamo razzisti ma accendiamo la tv e ci piomba addosso la paura, la politica è una grande regìa, crea un pericolo, lo risolve e prende i voti». Sta girando un pamphlet politico? «Per carità, politica è una parola che non so più cosa vuol dire». Lei in Nuovomondo ha raccontato i nostri primi immigrati a New York. «Se avessi saputo com' è l' emigrazione oggi, non l' avrei fatto quel film. È una realtà imparagonabile, i nostri contadini non avevano radio e tv, questi sanno tutto, e mentono a chi resta a casa, sono solo viaggi eroici, la visione di una vita migliore ma disattesa e mai divulgata». Il titolo, Terraferma, ci rimanda all' idea dell' approdo e della staticità. Cambia le scene e i dialoghi giorno per giorno, poi sul set ha il controllo totale e si capisce perché Fellini è il primo nome incantato che gli viene in mente: «Il cinema italiano è prigioniero del retaggio della commedia e del neorealismo». «È un film difficile di cui ci siamo innamorati, ha fascino dell' immagine e forza drammaturgica». Riccardo Tozzi lo produce per Cattleya («8 milioni, una componente importante del finanziamento ci auguriamo venga dalla Regione Sicilia»), con Rai Cinema, distribuzione 01. L' approdo naturale sarà il Festival di Cannes. Crialese per mantenersi nella formazione a New York ha fatto il cameriere, il ristoratore finanziò il suo primo film, Once We Were Strangers, ospitato al Sundance Festival di Robert Redford. Guarda già oltre l' orizzonte, un film sui bambini di strada di Rio de Janeiro, un altro sul quartiere-favela di Palermo Zona Espansione Nord, «che paradossalmente si legge Zen». Rio e Palermo, sarà ancora circondato dall' acqua. «Già». Sorride. E se ne va tra le case di pietra lavica e pozzolana ridipinte dalla troupe.
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